di Ambrosia Jole Silvia Imbornone, “L’isola della musica italiana”
“Nell’aria notturna di Nacht scintillano come una brezza stellata sax, violini, synths e presenze spettrali di theremin...”

Dopo un album nel 2006 e la trilogia Mythologies (composta dall’lp Hannibal del 2008 e dai due ep digitali del 2009 Orfeo e Lola), tutti ottimamente accolti dalla critica, Rodolfo Montuoro tra nuove versioni di brani editi e inediti ci conduce in un viaggio al centro di una notte “furibonda di colori” (Blind Runner), in cui il suo rock eclettico si veste delle eleganze lussureggianti del baroque e del più cangiante progressive, così come delle sfumature accese e terrose della world-music.
La sua voce è una vertigine morbida, talora di quieta dissonanza (Silly Moon), che proietta vibrati e melodie altre da crooner art-rock su uno sfondo musicale che ha colori densi e materici, di consistenza tattile, costituiti ad esempio dalle chitarre acuminate di Giuseppe Scarpato (ora robuste e – forse fin troppo – anni ’90, ora colme di echi psichedelici) e dal violoncello flessuoso di Naomi Berrill.

Nell’aria notturna degli undici brani scintillano come una brezza stellata sax, violini, synths e presenze spettrali di theremin.
La nacht di Montuoro è un’ora misteriosa in cui l’ombra è abbraccio ammaliante e abisso di buio, che imprigiona il cuore, il cielo e il sole in Blind Runner; i ricordi e le immagini (cinematografiche, mitiche e letterarie con il sonetto dantesco Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io musicato in Per incantamento) diventano apparizioni fantasmatiche, eppure corposamente sensoriali, che tra bisogni e sogni esercitano una seduzione inevitabile e obliqua.
La parola squaderna un forte potere immaginifico, gravido di suggestione, ma la poesia visionaria della notte montuoriana si manifesta ancor più chiaramente nella raffinatezza drammatica e tesa di arrangiamenti evocativi.Talvolta manca un po’ l’ossigeno nella fitta e sapiente trama dei suoni: la sperimentazione sonora sontuosa di Montuoro è molto pregevole e costituisce un tratto distintivo da proteggere e custodire per fantasia ed efficacia, ma qui e lì qualche linea strumentale in meno dilaterebbe gli spazi di risonanza della sua voce o di archi intrisi di pathos prezioso; al contrario, le chitarre di Giuseppe Scarpato appaiono voragine d’incanto soprattutto quando sono meno in evidenza, come in Mondi e Popoli e Convergenze parallele, laddove inghiottono ancora più voracemente come tranelli nascosti, giocando su volumi più bassi e fondendosi con ritmica, violini irlandesi o archi atmosferici e languidi, percussioni magnetiche o ritmiche potenti.Undici. Secret Talking ha cadenze quasi reggae (a cui nocciono certi echoes e i suoni della ritmica, entrambi forse troppo legati ai 90’s), mentre il pianoforte della malinconica e fascinosa Lola è una scala per raggiungere la luna e la celtica Blind Runner (con tanto di uilleann pipes e whistle) materializza paesaggi brulli, catturati dall’ambigua carezza del freddo.
Una menzione speciale tocca senz’altro, tra i tanti validi pezzi, anche alla title-track, grandiosa sinfonia che intreccia linee di chitarre distorte dolorose e sonorità irish e canta il gelo e le tenebre infinite dell’abbandono, che rende sterile, spento ed inutile “tutto l’universo”.
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