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Biografia musicale





A_VISION: OLTRE L’INVISIBILE


L’esordio discografico avviene nell’autunno 2005 con l’album a_vision (Auditorium), presentato in anteprima il 17 luglio del 2005 in uno show case della sezione Love Festival di Arezzo Wave. Il disco viene salutato come una novità nel mondo indie italiano per le insolite contaminazioni musicali, il tenore ermetico dell’invenzione letteraria, la cura degli arrangiamenti:

“Siamo nel regno della parola cantata. Battito e trucco sonoro. Nel solco di una contaminazione originalissima tra parola e musica. Il disco di Rodolfo Montuoro, A_vision, è una nuova tappa di potente prospettiva e visionarietà. Si parte da nitidi e nello stesso tempo evocativi paesaggi che vengono di volta in volta colorati da sonorità elettroniche, celtiche, jazz, tipiche di una certa raffinata world music che non disdegna il ricorso alle code tipiche dei madrigali. Ma sempre con l’intenzione, a volte anche spregiudicata, che la canzone torni a essere danza. A_Vision si dimostra dunque, fin dalle prime tracce, un disco di raffinata suggestione, ricco di brani che creano delicate voragini di suono. […] Pop e word music fusi insieme secondo una lezione decisamente internazionale. […] Zelig della musica come pochi altri mai, lui si diverte a confondere gli sguardi e a farsi cercare tra le note e le parole di un disco tra le produzioni più originali e stupefacenti che circolino oggi in Italia.” (Jonathan Giustini, Radio Città Futura).

I segni distintivi di questo lavoro sono la mescolanza di generi e stili, l’uso di strumenti della tradizione irish (come whistles, ueilleann pipes, violino, bouzouki, fisarmonica) e la presenza di una serie di musicisti di prestigio e varia provenienza: Vieri Bugli (Whisky Trail), Massimiliano Fabianelli (Modena City Rumbles), Massimo Giuntini (che cura la direzione artistica del disco), il jazzista Daniele Malvisi, Michela Munari (Quartetto Euphoria), Marco Mura, Fabio Puglia (Mexican Radio), Gennaro Scarpato (Triad Vibration). L’attore di prosa Andrea Biagiotti interviene con un recitato in uno dei brani (“International Sea”).


a_vision è edito dalla casa discografica milanese Auditorium, etichetta storica impegnata nella promozione e nella diffusione della musica elettronica e d’avanguardia in Italia. Nononstante Auditorium sia impegnata in un genere diverso, decide di adottare a_vision (è il primo album di canzoni del suo catalogo) proprio per la sua insolita re-invenzione della “forma-canzone”.

Anche i temi trattati sono decisamente inconsueti e si staccano nettamente dalla tradizione del cantautorato. C’è infatti l’intenzione di costruire uno scenario epico e senza tempo in cui, insieme a figure in esilio maiuscole e leggendarie (come quella di Ulisse o di Psiche), fanno apparizione – come in una visionaria sarabanda – ragazze semplici, avvocatucci, cuori in subbuglio, bambole, fantasmi senza pace, pensatori spenti, passeggiatrici e passeggiatori, anime in pena che, come gocce di pioggia sui vetri, scivolano in ogni dove: bassifondi di metropoli senza pietà, un baretto a Corfù pieno di spioni, leggendarie “città del Polo Nord”, qualche banchina felliniana esposta al mare d’inverno e pagine vuote di un libro che non vuole farsi leggere.



IL CICLO DELLE MITOLOGIE



Nel 2008 Rodolfo Montuoro cambia rotta: rilancia in forma rock le atmosfere del suo precedente lavoro e disegna con il nuovo album Hannibal. Mithologies I (AiMusic, Egea) un’immagine davvero inedita del personaggio indimenticabile di Thomas Harris e del cult movie di Jonathan Demme. Hannibal, cannibale e “psicologo” per eccellenza, qui ridona la vita ai suoi fantasmi e si nutre della carne viva di passioni e desideri. Diventa la controfigura di un Eros tragico, capace delle più micidiali tenerezze e delle più amorevoli atrocità, e si rivela come l’unico e vero amante “ideale” dell’Anima, di Psiche. Un Casanova a rovescio, ma assai più generoso e imprevedibile, che divora le sue “vittime” per invogliarle alla fuga da sé, alla metamorfosi e alla trasformazione.

Hannibal/Eros, dunque. Questa sovrapposizione, come due volti della stessa maschera (o come due maschere di un unico e indecifrabile volto), crea nell’album un gioco incessante di richiami, di riflessi, di invocazioni, di presentimenti che seduce, svia e anima continuamente l’ascolto.

Oltre a queste due immagini appartenenti alle mitologie più remote (Eros e Psiche) e più recenti (Hannibal Lecter), emergono altre fonti: “La colomba” recupera il testo di un’antica canzone popolare basca; “La lettera” traduce Henry Barbusse; “Non si dimentica” riprende i versi di una lirica di Ottiero Ottieri.

I testi originali sono in un serrato scambio con queste fonti. E, allo stesso modo, l’intricato tessuto musicale, elettrico e percussivo, è continuamente agitato da un colloquio inquieto con gli esiti più sofisticati del progressive internazionale.

Ospite in due brani è Anna Zoroberto, soprano titolare del Teatro della Scala, che esegue un’intensa interpretazione della “voce” di Psiche.


Con questo album Rodolfo Montuoro inizia il suo sodalizio con Gennaro e Giuseppe Scarpato che assumono la direzione artistica dei suoi lavori e lo accompagneranno nella sua “svolta” elettrica.

“NACHT”: ENCICLOPEDIA POETICA IN FORMA DI ROCK


Con Hannibal aveva avuto inizio il ciclo delle “mitologie” che si arricchirà di nuove figure nei successivi due ep: Orfeo (Believe Digital, 2009) e Lola (Believe Digital, 2009).

Orfeo (l’ep che contiene i brani “Orfeo”, “La svolta” e “Giorni messicani”) è anche il primo capitolo di un progetto che si intitola “Nacht”: si tratta di undici pezzi dedicati alle mitologie della notte che escono a puntate – ogni quattro mesi – a cura della francese Believe Digital. Alla fine, nel 2010, tutti i brani online confluiscono, insieme a quattro inediti, nel cd edito da Incipit Recordings e distribuito da Egea Distribution (questa volta “fisicamente” nei negozi, in formato cd).


Il nuovo lavoro dedicato a Orfeo (e il progetto che esso inaugura) è accolto con curiosità, non solo per l’approccio sempre più internazionale ma anche perché – nell’anno in cui si fa drammatica pure in Italia la crisi del settore discografico – il “progetto-Nacht” intraprende nel panorama italiano un pioneristico e originale uso del web e dei social media.


“Rodolfo Montuoro sta emergendo come una delle proposte più interessanti della scena rock italiana del nuovo millennio. Musicista colto ed eclettico, grande sperimentatore di linguaggi musicali spesso in forte contrasto tra loro, può ricordare certe figure di musicisti visionari del miglior prog-rock, da Peter Hammill a Robert Fripp, fino a band come i Porcupine Tree. […] Resta da attendere quindi con fiduciosa impazienza il prosieguo del viaggio intrapreso da Montuoro, che culminerà nella realizzazione di un album su supporto fisico tradizionale, ossia su cd. Già, perché in questa prima fase i brani, per una precisa e lungimirante scelta dell’etichetta, la francese Believe, sono disponibili solo in formato digitale. Un approccio particolarmente efficace, nel dilagante universo digitale dei social network e degli store musicali on line.” (Luigi Milani, “Ondarock”, luglio 2009)


Orfeo, nel mito, rappresenta il potere del canto e della parola che si incarna nella poesia e nella musica. Per la sua destrezza in queste arti, egli seduce e incanta tutte le creature. Ma, a un certo punto, talenti e poteri non gli servono più a niente. Euridice, la sua promessa sposa, muore il giorno prima delle nozze. Orfeo non si rassegna e scende nell’Ade. Vuole farla rivivere e riesce a convincere col suo canto le divinità infernali che gli impongono una condizione: mentre la porta con sé dagli inferi alla luce del sole, non dovrà mai voltarsi a guardarla. Orfeo non resiste. Preso dalla paura di lasciarsela ancora sfuggire e da un desiderio invincibile di baciarla, si volge verso di lei e la perde per sempre. D’ora in poi la sua sventura non avrà mai fine. Si isola da tutti, ossessionato dalla memoria di Euridice. Alla fine, diventa preda delle sacerdotesse di Dioniso che lo inseguono e lo fanno a pezzi, inbestialite dalla sua ossessione e dalla sua indifferenza. Le parti del suo corpo rotolano alla rinfusa sulle acque del fiume. Ma la testa mozza di Orfeo, mentre galleggia tra i flutti, continua a intonare una canzone disperata e bellissima.

Orfeo è uno che ha tutto e perde tutto. La sua è una notte perenne, senza scampo e senza simboli. Forse perché resta prigioniero della mancanza e del ricordo. Forse perché non ce la fa a inventarsi un’altra vita. O perché ha rovesciato gli ordini naturali. Oppure perché non sa morire per amore. O per tutte queste cose insieme.

Con i tre pezzi di questo mini-album, Rodolfo Montuoro – attraverso la figura tragica di Orfeo – invoca la discesa agli inferi, entra ed esce continuamente dalla sfera del gotico, sempre rasente l’ombra, sempre su una soglia pericolosa che sta per sprofondare. Ed è inevitabile questo movimento a precipizio, perché qui il tema ininterrotto è quello della perdita (di sé/del mondo), del lutto, dello smarrimento.


Nel successivo ep Lola (2009) – seconda puntata del progetto – emergono alcune figure forti che arricchiscono le “mitologie” dei precedenti album: una donna bella e non più giovanissima che ogni notte interroga i suoi sogni allo specchio (“Lola”); Dante Alighieri sul vascello fantasma di Mago Merlino (o in una specie di Yellow Submarine), con la sua scelta schiera di amici poeti, musici e pin-up (“Per incantamento”); un Labirinto in cui l’affronto del Minotauro e il filo che tende Arianna si srotolano attraverso l’invocazione dei suoi capelli abbaglianti, come alla vigilia di una mostruosa e fatale love story (“Labyrinth”). I brani che compongono Lola sono quattro: “Lola” (la title-track), “Per incantamento” (che riporta fedelmente un celeberrimo sonetto di Dante) , “Labyrinth” e “Mondi e Popoli”.

Il tema comune è l’incantamento, nel suo molteplice senso di stupore, fascino o incatenamento, incantesimo e miraggio, previsione della sorte o anche sortilegio. Qui l’artista sviluppa il progetto “Nacht” in un senso interattivo: la pubblicazione digitale di Orfeo gli ha consentito, infatti, di interagire direttamente con gli ascoltatori nella stesura dei nuovi brani e, grazie al riscontro ottenuto dagli utenti della Rete, ora emergono idee e suggestioni che trovano risonanza nelle quattro tracce di Lola.

Orfeo, con le tragiche svolte del suo desiderio e le contorsioni delle sue notti dolorose, dava conto di un disegno di perdita e di lutto. Lola invece ci intromette nelle illusioni magnifiche della notte, il luogo dove “tutto è possibile”: dove i desideri e le coincidenze possono segnare profondamente e per sempre le esistenze e i destini, nel bene o nel male, come nei film di Scorsese, di Landis o di Kubrick.

Quella di Lola è una notte incantata e imprevedibile, pericolosa ma anche colma di sogni e di grandi promesse. Una “notte enorme” in cui gli sguardi riflettono il futuro e si accendono di amore, di speranza, di incertezza o di sgomento.

Il repertorio è ormai denso di figure mitografiche antiche e nuove che, con i loro potenti richiami e cortocircuiti, fanno piazza pulita delle distinzioni tra passato e presente, sogno e visione, musica e parola, desiderio e realtà, verità e finzione. Questo universo onirico e oracolante comincia a diventare riconoscibile come un carattere distintivo della “affabulazione” di Rodolfo Montuoro:

“È già da alcuni anni che Rodolfo Montuoro si sta costruendo un’aura personalissima nel panorama del nuovo cantautorato italiano. I suoi lavori sono sempre a tema, contenuti dentro cornici narrative e ambientazioni unitarie, e seguono tracciati fascinosi. […] Montuoro è un pifferaio magico […] L’estrema libertà creativa conduce il musicista dal ritratto enigmatico che apre il lavoro, “Lola”, una donna persa in una notte enorme e quindi degna eroina di “Nacht”, al tuffo minaccioso in un futuro sospeso in mezzo alla storia di “Mondi e popoli”, fino alla rilettura del mito del Minotauro con un’Arianna dai capelli abbaglianti (“Labyrinth”). […] Montuoro è capace di creare, in un mini-cd di quattro tracce, la medesima intensità e densità, la stessa somma di stimoli e sollecitazioni di un album full-length. Forse perché non ha mai paura di osare, nelle formule, nei versi, nelle scelte. Anche qui, in Mythologies 3, troviamo un nuovo lotto di parole e immagini da conservare: segreti che raggelano il cuore, zebre che scolorano nel nulla, ricerca di cieli e di oceani, un cuore spacciato che s’interroga e occhi che non brillano più.” (Gianluca Veltri, “Mucchio Selvaggio/FDM”, dicembre 2009).

Nel 2010 Rodolfo Montuoro chiude il cerchio e arriva finalmente alla pubblicazione del full-length Nacht (Incipit Recordings), in cui confluiscono le tracce rivisitate dei due mini-album precedenti e quattro nuovi brani di cui tre inediti (Silly Moon, Convergenze parallele e la title-track Nacht) e un remix (Blind Runner). Il tutto va a comporre gli ultimi tasselli di un mosaico, definito come “una vera e propria enciclopedia poetica in forma di rock”, in cui sono declinate tutte le sfumature della notte: nei sentimenti, nelle passioni, nei pensieri, nei luoghi e nelle immagini del desiderio. Anche se Nacht è un album sicuramente notturno nei temi e nei paesaggi sonori, l’artista va oltre le atmosfere tipiche del dark. Sparge nella notte colori accesi che truccano, amplificano e infrangono il buio. E ha la capacità di richiamare nella musica profumi intensi che vengono da terre lontane. Evoca figure indimenticabili, maschere e destini snodati in una “danse macabre” di numeri primi (che compongono per intero il testo di “Undici. Secret Talking). I testi sono folgorati da dialoghi, profezie, invocazioni. La musica genera visioni a raffica e ci incatena a una notte irripetibile e “furibonda di colori”.

In questo album ritroviamo coloriture, atmosfere e strumenti insoliti. Il parterre dei musicisti si arricchisce ulteriormente con la presenza di Naomi Berrill (violoncello), di Francesco Fry Moneti (violino), di Alessandro Gandola (sax), di Francesco Gabbanini e Carlo Romagnoli (basso), di Silvia Fontani (doudouk). C’è il theremin (suonato da Vincenzo Vasi) che assume un’importanza centrale e si adatta perfettamente al grado vertiginoso e sulfureo di inquietudine che ribolle in tutti i brani. Trasmette subito l’impressione di un passaggio continuo tra piani e livelli sonori diversi. Le percussioni incalzanti, le melodie degli archi e del sax, la profondità evocativa del doudouk e gli sfrontati accenti rock delle chitarre trovano nel theremin un veicolo che li amplifica, li assorbe, li esalta e crea profondità attorno a essi, intrecciandosi naturalmente a una voce che insieme canta, recita e racconta.

Il theremin è lo strumento “principe” di questo album, serve ad accogliere l’intera partitura e a suggerire le chiavi di lettura e di ascolto. In A_vision campeggiava la cornamusa (Massimo Giuntini), in Hannibal il didijeridoo (Walter Mandelli).

Lo stesso artista spiega in un’intervista a “Mescalina” del 2008 il senso della presenza di questi strumenti “carismatici” e la funzione speciale che essi svolgono nella costruzione dei suoi dischi:

“In A_vision il corcertato dei whistles e della cornamusa ha lo scopo di ‘fare spazio’, di scagliare la parola cantata il più lontano possibile, verso una distesa siderale. Proprio per questo sono state utilizzate le uilleann pipes che, con il loro movimento a braccio, danno più forza cinetica, più potenza e timbro e lanciano più estesamente e in alto la trama melodica. In Hannibal invece questa funzione è affidata al didjeridoo che è lo strumento più antico e ancestrale, con il suo retaggio di quindicimila anni. Qui il ‘pneuma’ si inabissa attraverso il movimento della respirazione circolare, non si volatilizza nello spazio. Ma crea una verticalità, una profondità che però è, allo stesso tempo, centrifuga. Infatti, non a caso, il didjeridoo veniva utilizzato - nella notte dei tempi - per amplificare le formule del rito, soffiate e pronunciate direttamente nella canna, provocando (sia in chi lo suona che in chi l’ascolta) una stato forte di concentrazione, di vertigine e di trance. Orizzontalità e verticalità: queste le due dimensioni solcate in A_vision e in Hannibal. Nel primo volevo creare spazio perché la “visione”, il delirio, il sogno sconvolgono e spiazzano le costrizioni del ‘qui’ e dell’ ‘ora’. In Hannibal, invece, dovevo creare profondità, che è la dimensione sottocutanea (e oscuramente sulfurea) in cui si formano e si agitano i desideri e le passioni dell’anima.” (“Mescalina”, intervista di Francesco Zaglia a Rodolfo Montuoro, 18 febbraio 2008).

Malgrado la complessità dell’ascolto e l’ermetismo dei temi, e nonostante il carattere eccentrico e riservatissimo dell’artista (che centellina le apparizioni e diserta i luoghi del circolo mediatico musicale), Nacht sarà comunque accolto come uno dei migliori dischi italiani del 2010:

“Nacht di Rodolfo Montuoro è senz’altro una delle cose più belle ascoltate in Italia nell’ultimo periodo. Rodolfo è autore di toccante sensibilità, interprete carismatico, musicista preparato e originale... tutto qui è bellissimo... a questi e ad altri incanti si aggiunge il magnifico saggio vocale dell’autore, che davvero ti tende la mano e ti riempie la stanza.” (Piergiorgio Pardo, “Blow Up”, n. 150, novembre 2010)

Rodolfo Montuoro, lontano dalla scuola cantautorale domestica, propone un approccio rock e atipico alla forma canzone in italiano, elaborando un sound teso e drammatico, in cui elettronica e drumloops forniscono le basi al gioco di scambio tra violino, cello, theremin, doudouk e il muro di chitarre, senza perdere mai di vista l’equilibrio tra melodia e ritmica. L’approccio alla scrittura è visionario e fortemente simbolico, rafforzato dalla personalità della voce, quasi un talking ipnotico, in grado di scandire le parole cesellandole con maestria vocale e narrativa, capace di spostare continuamente i punti di riferimento, tra citazioni cinematografiche, poesia e mitologia. Uno dei migliori dischi italiani del 2010.” (Andrea Rossi, “Mescalina”, 16 marzo 2011)

“La sensibilità artistica di Rodolfo Montuoro si dischiude in piccoli brani di poesia pura, che ti portano a riflettere... che ti procurano emozioni, portando l’asticella del post rock un gradino più sopra... Uno dei migliori dischi.” (Moby Jones, “Walking Barefoot”, 19 novembre 2010)

“L’ouverture è affidata al suono siderale di un theremin che confluisce come un affluente maggiore nelle linee melodiche che si dissolvono in scenari notturni... New wave ed elettronica, rock monumentale, celtico, sinfonico. Epica e pathos. Poesia e ombre. Cipressi e monete di argento...l’incantesimo labirintico di suoni, epifanie e suggestioni rendono il tutto organico e onirico, visionario ed estremamente carnale.” (“Rumore Magazine”, ottobre 2011)

“Davvero belli i testi accompagnati da una musicalità soffice ancora una volta giocata su interazioni elettroniche molto interessanti, perfette per definire atmosfere languide e fascinose. La voce suadente di Rodolfo fa infine da magnifico anfitrione a questo immaginario.” (Roberto Caselli, “Jam”, n. 167, 2010)

“Immaginifico, onirico, elettrico, erige un febbrile muro del suono per la musica d’autore.” (Gianluca Veltri, “Mucchio Selvaggio/FDM”, dicembre 2010)

Nacht è un magnifico mosaico, una vera e propria enciclopedia poetica in forma di rock dedicata alle mitologie e alle declinazioni della notte, scritto con amore e passione da Rodolfo Montuoro e suonato da guest di grande calibro con una varietà infinita di strumenti (didijeridoo, theremin, sax, doudouk, cornamusa e archi) a impreziosire il tutto.” (“Music Club”, n. 212, novembre 2010)

“Dopo un album nel 2006 e la trilogia ‘Mythologies’ (composta dall’lp Hannibal del 2008 e dai due ep digitali del 2009 Orfeo e Lola), tutti ottimamente accolti dalla critica, Rodolfo Montuoro tra nuove versioni di brani editi ed inediti ci conduce in un viaggio al centro di una notte ‘furibonda di colori’ (‘Blind Runner’), in cui il suo rock eclettico si veste delle eleganze lussureggianti del baroque e del più cangiante progressive, così come delle sfumature accese e terrose della world-music. La sua voce è una vertigine morbida, talora di quieta dissonanza (v. ‘Silly Moon’), che proietta vibrati e melodie altre da crooner art-rock su uno sfondo musicale che ha colori densi e materici, di consistenza tattile.” (Ambrosia Jole Silvia Imbornone, “L’Isola che non c’era”, gennaio 2011)



L’ANIMA E LA VOCE

A sette anni da “Nacht”, nel 2018 Rodolfo Montuoro torna per descrivere una nuova epopea. Qui non più invocazioni (come in “a_vision”), maschere mitologiche (come in “Hannibal”) o luoghi perenni dell’immaginario (“Nacht”). Il percorso si fa sempre più rarefatto in “Voices”. Siamo nel regno impalpabile della phoné... Qui l’autore raccoglie gli sketches musicali e poetici ricavati dal cortocircuito degli incontri – sempre imprevedibili ed enigmatici – tra la voce e l’anima, tra psiche e phoné, con tutto lo scompiglio che ne consegue.

Perché “voices”? Perché la voce va oltre e al di là di noi stessi; è l’organo più libero e più spirituale della nostra attrezzatura biologica ma è anche fisicità, con la voce attraversiamo le distanze con tutta l’energia del nostro corpo.

Non si tratta solo dello spazio o del corpo: la voce riesce a offrirci un’intuizione di quelle profondità che agiscono sotto le parole, oltre la punta dell’iceberg, ed è il medium più impressionante del sogno e dell’inconscio. Seguendo il filo di questo pensiero, in ogni pezzo di “Voices”, oltre alla parola “significante”, c’è sempre un “canto muto”.

C’è la voce che modula il testo (e che, dunque, “significa”, narrando il reale e il possibile) e c’è il cantomuto, in “maschera”, che gli contrappone l’indicibile, il “non ancora”, come le sirene nel viaggio di Ulisse: un canto trascinante ed enigmatico che salmodia l’ignoto.

In questa vertigine di travestimenti, Rodolfo ha anche cercato e voluto le sue voci più amate: quelle di Carmelo Bene e Roberto Pedicini. Due maestri nella modulazione “musicale” della parola. Due campioni, agli antipodi, di uno strumento speciale e rarissimo: la phoné, appunto. A dimostrare che essa, pur essendo un mezzo, può essere anche più vera ed eloquente ed emozionante e commovente di ciò che dice. Capace di generare immagini proprie, oltre al significato dei testi o alle melodie.

Come in passato, anche in questo nuovo lavoro Rodolfo si è circondato di musicisti di grande calibro, mettendo insieme un cast prestigioso.

Oltre al guitar hero Giuseppe Scarpato, con cui rinnova un sodalizio ultradecennale, c’è Catherine “Cat” Corelli che da Mosca e da New York cura l’elettronica e la produzione artistica dell’album e vi esercita la sua polimorfica identità musicale; c’è Massimo Giuntini che, con i suoi whistles e le uilleann pipes, è un’altra presenza familiare e autorevolissima; c’è Silvia Fontani (che aggiunge il sapore inconfondibile del doudouk) e Tommaso Leddi, compositore polistrumentista che – dall’epica esperienza con gli Stormy Six fino alla sua più recente “militanza” in Studio Azzurro – qui si fa presente con alcune voci (violino, trombone, mandolino e diruba) del suo impressionante arsenale.


L’accoglienza di “Voices” da parte della critica più vicina al mondo indie è entusiastica e, com’era accaduto in passato per “a_vision”, “Hannibal” e “Nacht”, anche questo nuovo lavoro di Rodolfo Montuoro è salutato come tra i più originali e spiazzanti della produzione discografica corrente, “come se fossimo all’inizio di una nuova stagione musicale”:

“Voices è sofisticato, contrapposto all`oggi, completamente fuori dagli schemi ..., tra sogno e il suo opposto, tra parola pronunciata e immagine creata, come in un`ipnosi surreale e, in alcuni casi, meditativa, ma che in nessun caso l`ascoltatore vuole interrompere.” (Barbara Bortoli, “Mescalina”)

“Voices è un album sorprendente, ipnotico, seducente, talmente raffinato e stimolante che, per un attimo, avrei voluto disattendere ciò che siamo chiamati a fare e non realizzare alcuna critica dell’album, ma scrivere semplicemente ‘ascoltate questo capolavoro, io non oso dire nulla, non serve che dica nulla’. Un encomio a Montuoro e a ogni voce che ci ha regalato.” (Maria Grazia Rozera, “Music Coast to Coast”)

“Lungo l’ascolto delle dieci tracce che compongono il disco, potrete imbattervi in episodi di valore assoluto... Un album prezioso che però negli arrangiamenti musicali va ben oltre il rock o la musica indie e si ascolta allo stesso modo di una pièce teatrale, profonda e vibrante.” (Giancarlo De Chirico, “Extra Music Magazine”)

“Più che un normale album, per la sofisticatezza che lo contraddistingue, Voices è una vera e propria opera d’arte visiva, letteraria e musicale; è una performance di alta qualità e con profondi significati, un qui e ora che delizia chi può beneficiarne, purché gli si riservi un attento ascolto.” (Stefano Duranti Poccetti, “Corriere dello spettacolo”)

“Ritorno discografico a sette anni di distanza dal precedente lavoro. Voices è un disco da ascoltare con estrema attenzione, particolarissimo, ipnotico, teatrale, profondo, in cui musica e letteratura si intersecano alla perfezione su basi rock, elettroniche, new wave, spesso ostiche. Originale, uguale a niente altro.” (Antonio Baccicocchi, “RadioCoop”)

“A sette anni da Nacht, il musicista Rodolfo Montuoro torna con un nuovo album dal titolo Voices. Un lavoro in cui raccoglie tutte le sue esperienze in forma sperimentale e teatrale, o meglio insolita, dove, oltre alla parola ‘significante’, c’è sempre un ‘canto muto’. Un ‘canto muto’ che stravolge la solita forma-canzone e sembra indicare un percorso sonoro inedito, come se fossimo all’inizio di una nuova stagione musicale.” (“Musicletter”, La redazione)

“Dopo sette anni da Nacht il magnifico Rodolfo Montuoro torna con Voices. Un disco che mette in risalto la melodiosità della parola, come era successo in precedenza per i dischi e gli ep di questo bravo cantautore. La musica si mostra vivida e capace di provocare diverse suggestioni ma le parole sono il fiore all’occhiello... Canzoni per guardare lati a volte nascosti di noi stessi.” (Francesca Ognibene, “Radio Sherwood”)

“Non c’è un genere musicale in Voices, ci sono semmai installazioni sonore vicine ora all’elettronica, ora al rock progressivo, ora all’avanguardia armonica, e dentro ognuna di esse c’è l’incanto eterno della voce di Montuoro che si leva profetica, a tratti incerta, con melodie appena accennate, inspiegabilmente magnetica e seducente nel suo cantomuto; a rivestirla, un’aura atavica, oracolare, magica, incantatrice.” (Roberto Pancani, “Bitsrebel”)

“Rodolfo Montuoro, cantautore colto, multiforme e visionario, torna a incantarci con la profondità di una ricerca emotiva, lirica e sonora che ha il pregio di non assomigliare a nessuno e di non farsene un vanto ... in un rincorrersi di mito, crudezza, trascendenza, erotismo e poesia.” (Piergiorgio Pardo, “Blow Up”)

“Un vortice. Ipnotico, centripeto. Visionario. Un cunicolo scuro, un neon difettoso che va e viene, un susseguirsi di luci metropolitane, che quasi spiazzano, un viaggio scivoloso verso l’io profondo e la proiezione immediata tra gli spazi temporali del Cosmo. Il mondo di Rodolfo Montuoro è tutto questo. E molto di più.” (Gerardo Pozzi, “L’isola della musica italiana”)

“Quando sembrava ormai che si fossero quasi perse le tracce di quello che può essere considerato uno degli artisti italiani più dotati e innovativi degli ultimi anni, è finalmente approdato sui nostri lettori (cd o digitali, fate voi) il suo nuovo lavoro...” (Luigi Milani, “Ondarock”)

“Ritorna Rodolfo Montuoro con questo Voices e ancora una volta, a 7 anni dal precedente e ambizioso Nacht, spiazza l’ascoltatore facendolo entrare nel regno della phoné” (Andrea Trevaini, “Buscadero. mensile d’informazione”)


ACOUSTICA: CODICI E FRAMMENTI DI UN DISCORSO POETICO


Nella primavera del 2021 Rodolfo Montuoro pubblica Acoustica. Codex Metastasio Post Box (Believe Digital), con le “orchestrazioni” sintetiche di Maurizio Marsico (che per questa occasione sceglie, tra i suoi innumerevoli eteronimi, il suo mitico sembiante di “Monofonic Orchestra”).

È un album fatto di dieci piccole canzoni minimali e acustiche, ironicamente intitolato al poeta barocco Metastasio per celebrare le nozze tra musica e poesia. Ma, in realtà, qui siamo proprio all’incontrario del barocchismo. Si tratta, infatti, di canzoni postume e inattuali, a dimostrare che la poesia (o anche la musica) non sempre dipende dagli effetti speciali, dalle luci folgoranti, dal Presente e dai successi.

Ognuna di queste canzoni contiene un codex primario, immemoriale, che tiene in custodia un presignificato. Per Rodolfo Montuoro ognuno di questi codici, nel tempo, è stato generativo di nuovi percorsi poetici, anch’essi sempre “metastatici”. Li ritroviamo, sottotraccia, in tutti i precedenti album dell’artista, come occulte sindromi ossessive, rivestiti e spesso irriconoscibili. E l’incontro con Maurizio Marsico, tra i musicisti più ossidrici e corsari della scena musicale contemporanea, provoca una fusione fredda che mette a soqquadro tempo e spazio. (È infatti molto difficile, se non impossibile, contestualizzare e categorizzare questo lavoro.)

Qui l’elettronica insegue un’origine ancestrale, elementare, rasente il silenzio mentre l’acustica della chitarra di Rodolfo tende alla sua “metastasi” meccanica e alla sua estinzione sonora.

Qui Rodolfo torna ai suoi poeti prediletti, Dante Barbusse Ottieri e gli anonimi cantori popolari baschi. Li ritrova in musica e li mescola ai suoi versi e alle sue melodie, per celebrare a suo modo il rito dell’ascolto.

Qui, in omaggio a Metastasio, superstar dei teatri lirici, incontra una grande soprano, Anna Zoroberto, a dimostrare quanto sia toccante, fisicamente e profondamente toccante, il “sentire” della voce umana.

Qui siamo nella più paradossale metamorfosi, dove l’acustica delle corde di chitarra si smaterializza e simula le sequenze del bit elettronico mentre l’elettronica di keys & drones, agìti con tocco elegantissimo da Maurizio Marsico, risale alla sua cardiaca e pneumatica vocazione acustica.

Come tutti gli album di Rodolfo Montuoro, anche Acoustica è stato accolto con entusiasmo dalla critica, con numerose recensioni (vedi qui la Rassegna Stampa). “L’Isola della Musica” lo ha eletto “migliore disco” nel corso delle sue parade settimanali mentre, nella classifica musicale di fine-anno a cura di Camillo Longone su “Il Foglio”, il brano “Codex #10” è “la migliore canzone in italiano, cantanti uomini” del 2021.



DISCOGRAFIA


Album

A_vision (Auditorium, 2005)

Hannibal. Mithologies I (AiMusic, 2008)

Nacht (Believe Digital/Incipit Recordings, 2010)

Voices (Believe Digital/AiMusic, 2018)

Acoustica. Codex Metastasio Post Box (Believe Digital/AiMusic, 2021)

Ep

Orfeo. Mithologies II (Believe Digital, 2009)

Lola. Mithologies III (BelieveDigital, 2009)

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