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Lola o l’incanto di una seconda notte

Intervista a Rodolfo Montuoro a cura della Redazione di “Mescalina”

Ancora preso dalla mitologia: dopo “Orfeo”, Rodolfo Montuoro ci racconta di Lola. Ecco cosa abbiamo scoperto sull´evoluzione di un progetto sui generis e ancora splendidamente in metamorfosi.


Il progetto “Nacth” si sta pian piano componendo attraverso le fasi di Mythologies. Siamo arrivati alla terza sessione. Dopo “Hannibal” e “Orfeo”, ora compare una donna: Lola. Chi è Lola?

Se è vero che i miti sono anche delle ossessioni, allora possiamo dare il benvenuto a Lola nel nostro minuscolo olimpo che adesso – nella penultima puntata di “Nacht” – si popola di nuove immagini, forse ancora più enigmatiche. Infatti, dopo le mie “contro-figure” di Ulisse, Eros, Psiche, Euridice, Hannibal Lecter, Orfeo e il minotauro del Labirinto, Lola allude al sogno, all’attesa e alle alchimie del desiderio. Ma, questa volta, non fa parte di nessun racconto “pubblico” o universale. Infatti, si è materializzata nella mia testa, insieme alla musica, come un fantasma che appartiene solo a me. Mi dice di una stanzetta con uno specchio gigantesco e affumicato, traballante contro una parete, di una finestra su una piazza periferica di Berlino. E poi c’è un comodino traboccante di trucchi e profumi taccheggiati ai grandi magazzini, un armadio con le ante malferme da cui si intravedono valigie non ancora del tutto svuotate. Una stanza satura di incertezza ma anche di un potentissimo senso del possibile. È qui che si aggira Lola. Chi è Lola, mi chiedi? Non so. Riesco solo a disegnare una sua silhouette, con astigmatico sguardo. La vedo come una figura fatalissima, giovane ancora per poco e assai bella, che sogna allo specchio il suo destino incompiuto ed è, allo stesso tempo, inorridita dal tempo che comincia a ronzarle intorno. Colta nel tragico momento in cui comincia a sospettare che il sogno possa divorarle la bellezza, l’anima e la vita, proprio come succedeva ai fumatori d’oppio dei romanzi di Dickens.


Le figure mitologiche hanno sempre alcune caratteristiche e tratti distintivi, sia per le capacità di compiere qualcosa sia sotto l’aspetto puramente caratteriale. C’è chi è capriccioso, chi è iroso, chi è famelico. Com’è Lola?

Già il suono della parola ´Lola´ contiene mille evocazioni e ha il potere di portarci ovunque: nei fumosi corridoi di cabaret e café-chantant o in mezzo agli sciabordanti laser di un dancefloor, nel boudoir di Marlene Dietrich che si trucca per interpretare l’Angelo Azzurro o nelle infernali stanzette di Nabokov, nei bassifondi o tra le porte girevoli di tutte le città inondate dai vapori della trasgressione. Oppure tra le code ingarbugliate delle vecchie pellicole in bianco-nero. Nel mio minuscolo olimpo, Lola mi riporta anche ad Hannibal Lecter. Hannibal & Lola… Li immagino a braccetto. Perfetti fidanzatini. Fatali, doppi e diabolici. Natural Born Killers. Votati alla perdizione e anche alla redenzione, propria e altrui. Entrambi grandi produttori di incubi e di sogni, e grandissimi generatori di destini…

Non è per svelare misteri, però il tema di questo secondo tassello che andrà a comporre “Nacht” sembra essere l’incanto e l’incantamento. Quello delle figure femminili e quello del tempo. Come mai la scelta di questa tematica più sottile rispetto a quelle cruente di “Hannibal” e “Orfeo”?

Il tempo, si sa, è assai più implacabile di qualsiasi lama, perché porta in sé inevitabilmente anche la morte e il disinganno. Ma il tempo ha bisogno dell’incanto per riprodursi e perpetuarsi. Se non fossimo capaci di creare nella nostra mente labirinti, incantesimi e sogni, il tempo sarebbe davvero intollerabile. In questa seconda puntata di “Nacht”, mentre ormai ci stiamo inoltrando nel cuore della mia epopea tascabile dedicata alle mitologie della notte, l’incantamento è declinato in quattro differenti versioni: c’è quello di Lola allo specchio (di cui abbiamo già detto), c’è l’incantamento che lega Dante ai suoi sodali poeti e alle pin-up fiorentine con cui immagina di trascorrere un viaggio fantastico, c’è un ossessionante labirinto (un po’ naif come quelli di Hitchcock) in cui però si prepara una love-story sorprendente e mostruosa tra Arianna e il suo Minotauro (figura assai interiore e necessaria dell’immaginario femminile). E c’è infine una specie di invocazione per scongiurare ed esorcizzare il ´disincanto´ nell’ultimo brano che si intitola – proprio per questo – “Mondi e Popoli”.

Ho trovato molto azzeccata la scelta di musicare la Rima LII di Dante. Pochi artisti si misurano con testi poetici da musicare, tu invece sembri molto a tuo agio nel farlo: lo avevi fatto con Ottiero Ottieri, con la poesia basca La colomba. Come mai hai questa esigenza di far parlare anche altri nel tuo discorso?

Per me la conversazione “poietica”, quella che produce qualcosa di nuovo nei discorsi, è fondamentale. Non posso farne a meno. La cerco sempre spasmodicamente negli altri. Non parlo solo di poesia o di letteratura, ma anche dei progetti, dei pensieri propri e sinceri, delle parole belle dell’intelligenza, della cortesia e della simpatia. Insomma, le parole che ´creano´ rapporti più profondi tra le persone. Ed è naturale farle risuonare il più possibile tra le stanze della mia immaginazione. Mi piace custodire le parole che mi hanno impressionato o che mi hanno commosso. Le imparo a memoria, queste parole, e le convoco e le recito sulle labbra nei momenti di opacità o di insofferenza. Così non mi sento mai solo o ´in minoranza´. Quando mi tornano in mente, proprio per la loro forza e la loro bellezza, le sento subito nella forma della musica. Mi cantano in testa. E mi danno davvero l’idea e l’illusione di un dialogo vivo e istantaneo con i miei poeti e i miei artisti, ma pure con i miei amici e con le persone che mi stanno a cuore, anche se sono lontani nello spazio e nel tempo. Certo, noi parliamo con tutti, con questo e con quello, con tizio caio e sempronio. Però, vuoi mettere quanto possa essere magica e felice una conversazione simpatetica con Dante, con Ottiero Ottieri, con Esenin, con Barbusse o Marceline Desbordes-Valmore e con tutte le altre voci che abbiamo scelto di ricordare? Ricordarle, recitarle e farne un tutt’uno con il respiro, con la propria musica, con la voce e il canto. Oltre al grandissimo piacere in sé, è anche un impagabile risarcimento per le innumerevoli sciocchezze e le parole morte (o insignificanti) che ci assediano. Ma c’è un altro aspetto. Musicare un testo poetico significa illudersi di capirlo intimamente, di entrare nei suoi mitocondri, nelle pause del non-detto e nelle profondità di un’altra anima. È un esercizio da palombari. A volte, anche doloroso e destinato al fallimento. Non mi capita spesso di indossare questo scafandro. Ma, quando succede, devo necessariamente credere di stabilire con il testo e con il suo autore un rapporto unico e medianico e devo anche coltivare la presunzione di portare alla luce – proprio per quel testo e per nessun altro – la sola, unica ed esatta melodia.

Musicalmente invece mi sembra forse il tuo esperimento più essenziale. Asciugato dagli orpelli, si mira dritto alla voce e forse più che altro ai testi. Cosa ne pensi?

Sì, questa volta abbiamo ridotto l’ensemble a chitarra, basso, violoncello e percussioni, per dare più risalto alla schiettezza delle melodie, alla voce e a quello che la voce vuole dire. Non dobbiamo dimenticare che questo progetto è dedicato ai colori e alle risonanze della notte. E c’è un momento nella notte, un momento tragico, solitario e profondo, in cui la voce è sola a cantare la sua inquietudine e i suoi presagi, a invocare i suoi fantasmi. Quindi niente artifici attorno a essa: solo una chitarra tesa con i suoi naturali effetti di eco e di riverbero, un violoncello trasognato, un basso cardiaco, e le percussioni che intercettano i ritmi diseguali del desiderio e dell’allucinazione. Ma l’effetto di questa semplicità è potentissimo.

Ci sono sempre molto presenti batteria e chitarra elettrica che colorano anche molto dal punto di vista timbrico, tramite il synth, la programmazione e i loops. Insomma i fratelli Scarpato fanno pienamente parte di queste mitologie?

Per me, i fratelli Scarpato sono come i fratelli Cohen del rock italiano. La loro intesa gemellare è davvero sulfurea e si accompagna sempre a un impressionante rigore geometrico. E poi, hanno una consumata esperienza di studio e di palco per aver suonato per tanti anni con Edoardo Bennato, nei Triad Vibration, in Musicamorfosi, nella superband Custodie Cautelari, negli Hillside… C’è un magico affiatamento tra di noi, un accordo telepatico che rende sempre molto emozionante e sorprendente il nostro ritrovarci. Rispetto ad altre forme d’arte, la musica ha qualcosa in più che è proprio la comunanza e la condivisione. E questo, probabilmente, è anche il motivo della sua presa fortissima e ´universale´ su tutte le generazioni, soprattutto su quelle più giovani. Ma, almeno per me e in quest’epoca della mia vita, è anche il modo più efficace e congeniale per descrivere ed esprimere la mia visione del mondo. Se condividi, il tuo potenziale comunicativo si moltiplica e si dispiega. Un buon musicista deve saper ´spartire´ ed è questa, secondo me, un’abilità artistica e un’attitudine altrettanto importante quanto la composizione o la stesura delle melodie e dei testi. C’è da dire che con Giuseppe e con Gennaro, e con i magnifici musicisti che fino a oggi hanno lavorato con me, esercitare quest’attitudine è stato anche molto piacevole e gratificante, anche perché sono stati accuratamente scelti, corteggiati e voluti. E quindi, per me, basta solo la loro presenza per fare di ogni progetto un sicuro successo, a prescindere dagli esiti commerciali che – del resto – non dipendono più da noi. Ma ora ti svelerò un piccolo segreto. Quando ho deciso di musicare in questo nuovo album Guido i’ vorrei che tu e Lapo e io di Dante, l’ho fatto soprattutto come un dono ai miei musicisti. Questo sonetto dipinge in maniera elegante e magistralmente ispirata un momento altissimo di ´condivisione´, quello in cui Dante si immagina con i suoi più cari amici poeti e musici sul vascello incantato di Mago Merlino, insieme alle più belle donne della città, a seguire tutte le rotte meravigliose della terra e dei cieli, a “conversar sempre d’amore” e a creare con loro musica, poesia e grazia. Credo che questo sia uno degli inni più belli allo stare insieme. Proprio perché c’è, assai forte, la dimensione “poietica”, creativa e attiva dell’amicizia, non quella meccanica e spesso anche scontata e opportunistica della semplice coesistenza. E io, nel mio piccolo, mettendo in note questo sonetto alla mia maniera, ho pensato di offrirlo in dono proprio a Gennaro e a Giuseppe Scarpato, e ai tutti i musicisti che in questi anni mi hanno seguito, con lo spirito esoterico ed emozionato che Dante ci ha trasmesso.

Anche questa volta uscirai per Believe, come ti trovi con la distribuzione digitale?

Credo che, finalmente, dopo millenni, la musica abbia trovato con la distribuzione digitale il suo veicolo ideale, quello che si addice di più alla sua natura ´immateriale´. Quindi, ben venga la diffusione online che permette una condivisione potenzialmente assoluta. Oggi, bastano un pc e un collegamento veloce per accedere immediatamente e gratuitamente a quasi tutto il repertorio universale del presente e del passato, grazie ai grandi network di musica in streaming. La distribuzione digitale porta una ventata di democratizzazione e fa piazza pulita dei vecchi, costosi ed elitari meccanismi di mercato. Moltiplica la condivisione, innalza la qualità, la varietà, l’informazione, la fruizione e la scelta. Si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale che non investe solo la musica. Certo, ci vorrà ancora qualche tempo perché ci sia una diffusione davvero globale e un accesso ancora più veloce. Questo dipende soprattutto dall’integrazione delle reti, dalla cosiddetta ´convergenza´ (satellite, cellulari e web), dall’ampliamento dei metodi di m-commerce, dall’affermazione del concetto di ´proprietà virtuale´ e anche dallo sviluppo dei formati audio lossless. Ma la strada è questa. Basti pensare che, nel giro di un anno, il volume del retail digitale è cresciuto considerevolmente, mentre contemporaneamente la compravendita nei circuiti tradizionali è scesa in maniera vertiginosa, provocando una drastica contrazione dei costi al consumo ma anche dell’offerta (mentre, viceversa, l’offerta di ´musica liquida´ aumenta quotidianamente in misura esponenziale). Sono tutti effetti che lasciano ben sperare nella distribuzione digitale ed è questo un vero e proprio schiaffo, molto salutare e sacrosanto, all’ottusità e alla chiusura delle major e dei canali tradizionali. Mi chiedi di Believe. Mi trovo benissimo. La start-up parigina, nel giro di due o tre anni, è diventata leader in Europa per la distribuzione online, grazie a un team internazionale colto, preparato, curioso e abilissimo nella ricerca e nella diffusione della musica di qualità. Quella di Believe è un’intrapresa esemplare se vogliamo farci un’idea delle nuove ´visioni´ che stanno stravolgendo in modo irreversibile il mondo della musica.

Potremmo salutarci dandoci appuntamento alla prossima scheggia del progetto “Nacht”. Ci puoi anticipare di cosa tratterà?

A pochi mesi da “Orfeo” e mentre esce “Lola”, siamo già al lavoro per portare avanti il progetto. Ma, per non togliere spazio all’album appena uscito e anche per una forma incoercibile di scaramanzia, ti dirò solo che i prossimi pezzi di “Nacht” saranno delle ´chiavi di accesso´ (come il numero magico, l’anello incantato, o la pietra filosofale nei racconti fantasy) per riascoltare – sotto un’altra luce e in un altro orizzonte sonoro – i brani dei due album precedenti e per disvelare finalmente il disegno dell’intero progetto, con gli immancabili colpi di scena.


A cura della Redazione di “Mescalina”, dicembre 2009.

Illustrazione di Daniela Giarratana per il booklet di “Nacht”. Courtesy of © Daniela Giarratana.

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