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Phoné

Intervista a Rodolfo Montuoro di Leslie Fadon, “Nightguide”



A sette anni da “Nacht”, il sontuoso progetto rock declinato nei due “movimenti” di “Orfeo” e “Lola”, Rodolfo Montuoro torna con “Voices” per descrivere una nuova epopea...

A sette anni da “Nacht”, il sontuoso progetto rock declinato nei due “movimenti” di “Orfeo” e “Lola”, Rodolfo Montuoro torna con “Voices” per descrivere una nuova epopea.

Qui non più invocazioni (come in “a_vision”), maschere mitologiche (come in “Hannibal”) o luoghi perenni dell’immaginario (“Nacht”).

In “Voices” Il percorso si fa sempre più rarefatto: siamo nel regno impalpabile della phoné. In questo nuovo progetto sonoro Rodolfo Montuoro raccoglie gli sketches musicali e poetici ricavati dal cortocircuito degli incontri – sempre imprevedibili ed enigmatici – tra la voce e l’anima, tra psiche e phoné, con tutto lo scompiglio che ne consegue. Lo abbiamo intervistato.

Rodolfo, che tipo di disco è “Voices”? “Voices” è un album che spazia tra l’elettronica e il progressive, coltivato come un giardino giapponese, suonato da musicisti di grande esperienza e di aree disparatissime (elettronica, celtica, rock, sperimentale, classica), con dei picchi di pura emozione espressi dalle voci di Roberto Pedicini e Carmelo Bene. “Voices” è il mio omaggio alla voce, alla musica e al silenzio.

Come si differenzia dai tuoi dischi precedenti?

Musicalmente c’è molta elettronica rispetto agli altri miei album, grazie alla collaborazione e all’apporto alchemico di Catherine Alice Corelli, la geniale produttrice del disco. Poeticamente, per me è un punto fermo che raccoglie i temi seminati nella mia produzione precedente ma è anche un punto di fuga verso un ideale di composizione sempre più astratto ed essenziale per creare prima o poi, come un Frankenstein psicopatico, il dna di tutte le conversazioni possibili.

Come siamo entrati nel regno impalpabile della phoné?

Nella phoné si precipita, si inciampa e ci si perde senza averne idea. Più o meno come è successo a me.

Hai inserito le voci di Carmelo Bene e Roberto Pedicini, ti va di raccontarcene l’idea?

Ho pensato a loro due, anche se sono molto lontani nel tempo e nello stile, perché entrambi – secondo me – sono capaci di usare la voce come uno strumento cantante, sofisticatissimo e soprattutto tragico. E intendo il “tragico” come la capacità di rappresentare tutte le danzanti sfumature dell’esistenza (siano esse gioiose o dolorose) con una grazia unica, musicale e apolinnea.

Quali sono i tuoi dischi del cuore?

Pensandoci in questo momento credo senza ombra di dubbio che siano il “Manfred” di Schumann, “Ours” di Bowie e “False Idols” di Tricky. Ma se me lo chiedi domani o tra una settimana, il catalogo sarà di certo diverso.

Parlaci dei tuoi prossimi progetti

Il mio primo progetto è ascoltare “Voices” in santa pace come se lo avesse scritto qualcun altro, dopo tanti anni impiegati a metterlo insieme. E spero che da questo ascolto, finalmente estraniato, vengano fuori nuove idee per i prossimi cinque o sei anni.

Leslie Fadon, “Nightguide”, 2019

Rielaborazione dell'illustrazione di © merendinacontiffany per il booklet di “Voices”.

Courtesy of Sabrina Zanetti.

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